Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti

Articolo 01

L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Commento a cura dell’avvocato Angelo Greco.

Provate un attimo ad immaginare come si saranno sentiti i nostri padri costituenti non appena riuniti, per decidere e scrivere il testo della Costituzione. Il re era stato appena cacciato ed era impressa in tutti gli italiani. L’inguaribile ferita degli orrori della guerra. Nello stesso tempo loro erano stati prescelti per scolpire i principi da cui sarebbe dipeso il futuro della nazione e si saranno guardati l’un l’altro con un’espressione sperduta, dubbiosa, piena di ambizioni ma anche di timori. Da dove iniziamo? Si saranno chiesti, come si inizia a scrivere una Costituzione? Ciascuno di loro avrà avvertito su di sé il peso della creazione, un po come Mosè, quando salì sul Sinai. O come un pittore chiamato a disegnare il volto di Dio, da dove comincio? Dalle mani? dagli occhi? dalle gambe? Un dubbio di questo tipo ti può rendere pazzo. Preferirono però partire dalla parola più semplice e importante. L’Italia.

L’Italia che non era più terreno di conquista di austriaci, borboni e Savoia ma. Che nasceva proprio in quel momento, un po come quando si ha in braccio un bambino appena nato e ti chiedi:”Come lo chiamiamo?”, lo chiamiamo Italia!

La nostra Costituzione esordisce così: “l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Questa frase sintetizza un po tutta la Costituzione. Si poteva chiudere qui il lavoro della costituente e tornare tutti a casa. Bene, abbiamo fatto la Costituzione, perché se ci pensate bene, in queste quattro parole: Italia, Repubblica, democrazia e lavoro, si concentra tutto il succo del nostro paese. Tant’è che più che parole, verrebbe da pensare che sono principi ideali.

Vediamo che cosa si racchiude in questi quattro termini?
La prima parola chiave è Italia, notate? Non si parla più di Stato, come era avvenuto in precedenza con lo statuto albertino, l’antenato della nostra Costituzione, l’Italia è l’Italia, con una sua identità politica e non solo geografica. Non è solo una penisola, un territorio come l’aveva definita il Metternich.
“l’Italia è solo un’espressione geografica”, aveva scritto il Cancelliere austriaco in una sua lettera con l’intento di umiliarci, a suo dire eravamo solo un terreno di conquista, un oggetto degli schiavi.
Un popolo unito linguisticamente per modo di dire, ma politicamente inesistente e perciò insignificante, visto che l’Italia all’epoca era ancora divisa in tanti piccoli Stati. Invece la Costituzione rivendica un’identità anche politica. Da oggi dicono i padri costituenti esistiamo anche noi sulla scena internazionale, esistono gli italiani che non sono più né servi né schiavi di nessuno.

La seconda parola chiave è Repubblica.

Che vuol dire? Repubblica vuol dire cosa di tutti dalle parole latine, res, ossia cosa, è pubblica, ossia di tutti quanti.

Affermare che l’Italia è una Repubblica significava finalmente dire che l’Italia non era più solo del re o del dittatore, ma degli italiani. Nessuno quindi, può servirsene come di una cosa propria per fini personali, ancor meno chi ne ha la responsabilità di governo. Siamo tutti proprietari di una fetta dell’Italia, di una percentuale che è nostra che abbiamo ereditato dai nostri padri e che lasceremo ai nostri figli. Ecco perché la dobbiamo amare come tutte le cose che ci appartengono, ma non bisogna cadere nell’equivoco di ritenere l’Italia come una nostra proprietà in senso egoistico, al pari delle cose che ci appartengono interamente. Si tratta di una proprietà condivisa che abbiamo deciso di mettere in comune e che pertanto richiede un atteggiamento altruistico, un po come succede nei condomini. Chi mai brucerebbe la propria casa solo perché l’amministratore è corrotto?
Eppure alcuni italiani fanno così, siccome al potere c’è chi ruba, si sentono autorizzati a rubare, anch’essi nel loro piccolo. La presenza di politici corrotti non ci autorizza a saccheggiare o distruggere il nostro paese. Mandiamo via l’amministratore corrotto, ma salviamo l’Italia.

La terza parola chiave contenuta nell’articolo uno è democrazia
dire che l’Italia è una democrazia significa che è stata voluta e proclamata dal suo popolo e non da un sovrano. Certo, l’Italia nasce come terreno di conquista dei Savoia, ma anche le cose più belle hanno un inizio non sempre spontaneo, una distesa di fiori su un campo ha bisogno di un’APE che vi trasporti il polline ma poi vive di vita propria. Così è successo agli italiani che hanno prima avuto bisogno di qualcuno che li inventasse, e poi si sono liberati dalle catene. l’Italia nasce dunque già come Repubblica, a seguito di una votazione a suffragio universale a cui parteciparono tutti i cittadini aventi diritto al voto. Nessuno ci ha imposto di essere una Repubblica, nessuno ci ha imposto di essere una democrazia, siamo noi che lo abbiamo voluto ed è bellissimo notare come la fine della Costituzione si ricollega al suo Inizio, come in un cerchio. L’ultimo articolo, infatti, il 139 stabilisce che la forma repubblicana non può mai essere oggetto di modifica. l’Italia, quindi, non potrà mai diventare una dittatura, una monarchia, un’altra forma di governo, a meno di una rivoluzione.
La quarta parola chiave dell’articolo uno della Costituzione è lavoro.

Affermare che l’Italia è fondata sul lavoro vuol dire che l’unico metro per misurare il valore delle Persone e il lavoro e non già i privilegi: I titoli nobiliari, le amicizie, i capitali, la proprietà immobiliare.
E’ stata una grande rivoluzione rispetto ai tempi passati. Lo stesso Platone, per esempio, descriveva il lavoro come oggetto di disprezzo, “è prerogativa degli uomini liberi il pensiero e degli schiavi La fatica”, scriveva il grande filosofo greco, nelle Corti reali la gente si truccava la faccia di bianco per sembrare chiara, perché solo chi lavora nei campi è abbronzato e quindi un servo della gleba. Pensate che di ciò è rimasta traccia dei nostri dialetti in calabrese. Lavorare si dice faticaree e in siciliano addirittura travagliare. Non c’è nulla di nobile in questi versi, ma da schiavitù, com’era inteso nell’era antica, nella Costituzione il lavoro diventa sinonimo di liberazione, di contribuzione al benessere di tutti. Il lavoro è un titolo, quindi come lo sono le azioni di una società che ci dà diritto a una percentuale di proprietà sull’Italia.

Dunque non è una maledizione, ma una benedizione, non è un’occupazione servile, ma il mezzo per raggiungere la dignità. Per inciso, le sinistre volevano scrivere che l’Italia è una Repubblica dei lavoratori. Ma la proposta fu bocciata perché sembrò una definizione troppo vicina a quella di uno Stato socialista. Parlare invece di un’Italia fondata sul lavoro apparve più moderato. Ma perché fondare l’Italia proprio sul lavoro e non su altri valori altrettanto nobili come la solidarietà, l’amore, l’altruismo, la libertà di espressione? Perché il lavoro ha una duplice funzione, da un lato, nobilita l’uomo, dall’altro, contribuisce al miglioramento della società. Lavorando ciascuno fa il bene proprio e degli altri, quando una persona lavora, manda avanti sé e la propria famiglia, fa progredire l’azienda che lo ha assunto, l’economia della nazione e del mondo intero. E’ dal lavoro che dipende l’evoluzione dell’uomo stesso. Se non ci fossero stati gli uomini primitivi a studiare, come ricavare il fuoco dal legno, a quest’ora? L’uomo si sarebbe estinto per il freddo. Se non ci fossero stati gli studi scientifici a realizzare i farmaci contro il vaiolo, il diabete così come la penicillina e gli antibiotici, la popolazione mondiale sarebbe stata decimata. Cosa sarebbe di noi se non ci fosse il lavoro domestico di molte donne? Ed oggi, per fortuna, anche di molti uomini, che mandano avanti la casa e badano ai figli.

Dal lavoro del singolo dipende l’umanità. È questo che dice la Costituzione, il lavoro è lo strumento con cui ogni cittadino concorre al progresso della società e nello stesso tempo è lo strumento principale per garantire l’uguaglianza e la dignità delle persone, anche di chi non può lavorare perché magari è invalido o non riesce a trovare lavoro nonostante la buona volontà. In questo sta la grandezza della nostra Costituzione che cerca di coniugare il diritto dovere al lavoro con la solidarietà sociale in Italia. Se non puoi lavorare non morirai mai di fame, ma godrai di Sussidi, di una pensione sociale, di un’assistenza sanitaria, di una casa popolare, nessuno ti potrà mettere in galera se sei povero e non paghi i tuoi debiti, nessuno ti potrà torturare, mortificare per strada. Nessuno potrà costringere un bambino a lavorare per sfamarsi.

La seconda parte dell’articolo uno della Costituzione afferma che la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Questa disposizione sancisce un principio ignorato e calpestato per millenni: quello della sovranità del popolo.

E’ una vera e propria rivoluzione nella concezione del potere. Il popolo non è più considerato un suddito, ma sovrano di se stesso. La carica politica più importante non è quella del Presidente del Consiglio, del Presidente della Repubblica o del parlamentare, è quella del privato cittadino. Ma siccome i nostri padri costituenti volevano evitare che anche lo stesso popolo potesse abusare del proprio potere, l’articolo uno stabilisce che la sovranità che appartiene al popolo deve essere comunque esercitata nelle forme e nei limiti prescritti dalla Costituzione.
Cosa significa? Che all’apice della piramide non ci sono i cittadini ma la Costituzione. La costituzione prevale su tutto, anche sulla volontà dei cittadini stessi, ossia sulla legge nel darsi una costituzione. Il popolo si è autolimitato, si è posto un vincolo perpetuo per evitare che i suoi rappresentanti, benché eletti democraticamente, Potessero un giorno diventare dei despoti. Si sente spesso dire che è giusto disobbedire a una legge ingiusta. In realtà questo poteva valere quando non c’era un argine al legislatore e le leggi potevano stabilire cose terrificanti ai danni dei più deboli. Oggi c’è una costituzione scritta e rigida, oltre cui il Parlamento, Il governo non possono andare. Ciò significa che il popolo non può decidere quali leggi rispettare e quali no. Una legge in vigore deve essere osservata da tutti, a prescindere dal fatto che venga adottata da un governo simpatico o antipatico, che si tratti di una norma comoda o scomoda, ogni norma è vincolante, solo la Corte costituzionale può stabilire cosa è legittimo e cosa non lo è cancellando le norme incostituzionali, non di certo. Il cittadino, se il concetto di giustizia deve essere inteso in senso soggettivo, allora avremmo tante giustizie per quanti sono i cittadini, ossia la totale ingiustizia. Del resto, come diceva diderot: “Chiunque si arroga il diritto di non rispettare la legge sbagliata, autorizza gli altri a non rispettare quelle valide”. La scelta della forma repubblicana in Italia è stata molto, molto sofferta. Oggi siamo abituati a pensare alla democrazia come a una cosa ovvia, scontata. Ma quando fu scritta la Costituzione non era mica così. la Repubblica era l’eccezione, c’era la monarchia in Spagna, in Portogallo, in Belgio, nei Paesi Bassi, in Gran Bretagna, in Danimarca, in Svezia, in Norvegia, in Grecia. Noi stavamo facendo qualcosa di diverso rispetto a tutti gli altri paesi europei,percepito però anche come un salto nel buio. Gli intellettuali avevano profonda sfiducia nelle capacità di autogestione del popolo, temevano che questo potesse governare, decidendo con la pancia piuttosto che con l’intelletto. Autorevoli pensatori di tutto il mondo hanno spesso affermato che la democrazia non è per forza il governo dei migliori, ma il governo della maggioranza e non è sempre detto che la maggioranza sia dalla parte giusta. Pensate a un popolo come gli Stati Uniti, dove per anni gran parte dei cittadini è stata a favore della pena di morte. La diffidenza nei confronti della democrazia risale addirittura a Platone, che nella Repubblica scrisse che questa organizzazione non privilegia chi compie gli studi necessari a governare il paese, ma chi si professa amico del popolo. Pensate, Bobbio disse che la democrazia è il torto di chiedere a tutti le virtù che sono di pochi. Chi vuole raggiungere il Vertice non deve far altro che ricorrere al populismo, ossia alla ricerca esasperata del consenso, dove è più facile trovarlo, cioè nelle piazze E negli egoismi della gente. Il punto però è che anche la monarchia, la dittatura o l’oligarchia non offrono maggiori garanzie e non ci salvano da cattive gestioni della cosa pubblica, anzi, in quei casi il destino di un paese è nelle mani di una o poche persone che potrebbero anche sbagliare e con maggiore facilità, non essendo soggette ad alcun controllo esterno. Ecco perché la nostra non è una semplice democrazia ma una democrazia controllata. Dove cioè ogni potere, il potere legislativo, il potere giudiziario e il potere esecutivo è distinto dagli altri e nello stesso tempo controlla gli altri ed è controllato dagli altri. La nostra non è una democrazia qualsiasi, ma una democrazia basata sulla distribuzione del potere, il popolo ne ha solo un terzo, ma gli altri due terzi sono in mano ai giudici e al governo.
C’è però da dire che nel nostro paese il principio della sovranità popolare è stato spesso calpestato. La democrazia parlamentare è stata sequestrata dai partiti con leggi elettorali. Che non consentono ai cittadini di scegliere il candidato, ma il gruppo, sia il partito che poi manda in Parlamento chi preferisce, secondo logica e contorte. E che dire poi dei referendum che tutti i governi di destra e di sinistra, di centro o di lato hanno spesso e volentieri disatteso? Pensate al celebre caso della consultazione sul finanziamento pubblico ai partiti che nel 1993 venne abrogato dal 90% dei votanti, ma fu immediatamente riesumato sotto mentite spoglie, o al referendum sull’abolizione del sistema dell’acqua pubblica in mano al privato. È stato il primo cui voto non è mai stato rispettato. Questa antipatia dei politici verso il referendum nasconde una diffidenza verso il popolo considerato ignorante e incapace di decidere le sorti della nazione. Potremmo ribattere sostenendo che se l’elettore è incompetente lo è anche l’eletto, perché l’eletto in democrazia è scelto proprio nella stessa cerchia degli elettori. Se i politici criticano il popolo, stanno criticando se stessi. Se il popolo critica i politici. Sta criticando se stesso.

art. 2
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

art. 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

art. 4
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

art. 5
La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento

art. 6
La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche

art. 7
Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.
I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi.
Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale

art. 8
Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.

art. 9
La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali.

art. 10
L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici

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