Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti

Articolo 11

L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni, promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte. A tale scopo.

Commento a cura dell’avvocato Angelo Greco.

L’articolo 11 della Costituzione suona come le campane domenicali della Chiesa, l’Italia ripudia la guerra, si poteva semplicemente dire che l’Italia rinuncia alla guerra o che la condanna, invece, si preferì usare un termine forte, uno di quelli che genera sdegno, orrore o pulsione: ripudia. E’ l’azione di chi respinge, di chi rifiuta, dunque un’azione attiva, non semplicemente un’astensione. E si è scritto che l’Italia. Ripudia la guerra e non solo la Repubblica, lo stato, i cittadini italiani. Come a dire che tutto all’interno della nostra penisola, animali e sassi compresi, rifiuta con fermezza la guerra. Un’affermazione del genere dovette apparire come il miglior proposito che l’uomo potesse fare all’indomani di un conflitto che aveva sparso in tutto il mondo ben 62 milioni di vittime, tra civili e militari. Parlare di pace era come parlare di resurrezione, una nuova vita. Di lì in avanti per i popoli di tutta la terra. E del resto nessuna guerra ha mai prodotto un beneficio maggiore del dolore e delle distruzioni che ha causato. Nessuna è mai stata l’ultima, se non perché vi ha trovato la morte, perché se non c’è la pace si muore.
In base all’articolo 11, l’Italia non può dichiarare o partecipare a guerre di aggressione o ricorrere alla guerra per risolvere le controversie internazionali. Questo significa che se tra il nostro Stato e un’altro dovesse insorgere un contrasto, a noi sarebbe vietato dichiarargli guerra, ma dovremmo cercare una soluzione con la diplomazia o tramite organi internazionali come l’Onu o l’Unione europea. Fanno eccezione le guerre per legittima difesa, rivolte cioè a tutelare il nostro territorio. Tant’è vero che l’articolo 52 della stessa Costituzione stabilisce che la difesa della patria è sacro dovere del cittadino ed in questi casi le camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al governo i poteri necessari. Ed è il Presidente della Repubblica a dichiarare lo stato di guerra deliberato dalle Camere. In sintesi, l’articolo 11 dice che l’Italia non può dichiarare per prima guerra a un’altro Stato, e non qualsiasi tipo di guerra, ma solo le guerre di aggressione, quelle di conquista e di oppressione. Pace, del resto, non vuol dire restare bersagli indifesi delle altrui aggressioni. l’Italia ben potrebbe partecipare a un conflitto armato laddove dovessero essere messi a repentaglio i propri confini o i propri precetti di democrazia. In ultimo sono sempre ammesse le missioni di pace e le missioni umanitarie. Insomma, quel che esce dalla porta rientra prima o poi dalla finestra. Così, all’ombra della bandiera dei buoni propositi abbiamo armato i nostri ragazzi spedendoli in Libano, Somalia, Iraq, Bosnia, Kosovo, Afghanistan, Libia. Perché se i principi giusti vengono applicati da uomini ingiusti, la regola diventa eccezione e l’eccezione regola. Ora è evidente la profonda ipocrisia della politica internazionale sotto la forma dei tanto decantati interventi rivolti a garantire la pace. Si è legittimato l’uso della forza solo per proteggere interessi di natura commerciale. Cambiano le giustificazioni formali, ma i fini e gli strumenti sono sempre gli stessi. Cosa bisogna fare per evitare le guerre, venirsi incontro, rinunciare ciascuno a qualcosa di proprio in nome della pace. E questo lo avevano capito bene i padri costituenti quando scrissero la seconda parte dell’articolo 11. La norma ammette limitazioni di sovranità nazionale, ossia al potere dello Stato. Se finalizzate a garantire la pace e la giustizia fra le nazioni, queste limitazioni sono legittime solo a condizione che siano reciproche, ossia solo nei confronti degli Stati che prevedono a loro volta pari limitazioni della sovranità per favorire gli stessi scopi. È una sorta di altruismo internazionale, una rinuncia al nazionalismo. Non siamo più padroni in casa nostra, ma consentiamo agli altri Stati di dirci come comportarci se il loro scopo è garantire l’armonia nel mondo e il benessere. Come?
Benigni dice: “c’è una sola cosa più bella di vantarsi di amare la propria Patria, vantarsi di amare il mondo”. Nonostante questa chiara affermazione, in questi ultimi anni ha riaffiorato non solo in Italia, il tormentone dello Stato sovrano, che non può ammettere ingerenze esterne nella propria politica interna, sia essa economica, sociale o monetaria. Un ritornello rivolto per lo più a contrastare le decisioni più scomode dell’Unione Europea. In realtà le limitazioni della sovranità sono pienamente costituzionali e anzi l’articolo 11 della Costituzione fu scritto proprio per consentire l’adesione dell’Italia all’ONU, cioè l’Organizzazione delle Nazioni Unite, un organismo sovranazionale rivolto a garantire la pace nel mondo. Al di là poi delle intenzioni dei padri costituenti, questa norma è servita successivamente per legittimare l’adesione dell’Italia alle Comunità europee, oggi all’Unione europea, con due importanti conseguenze, l’efficacia diretta e immediata dei regolamenti europei nel nostro Stato senza che vi sia bisogno di leggi di recepimento e il riconoscimento del primato delle norme dell’Unione europea sul nostro diritto interno. Siamo pertanto obbligati a disapplicare una legge nazionale che sia contraria a una norma europea. Restano esclusi solo i principi fondamentali dello Stato, quelli proclamati nei primi 12 articoli della Costituzione. Senza voler entrare ora nello specifico dibattito relativo alle politiche dell’Unione europea,
che singolarmente prese possono anche essere criticate, del resto questo è il bello della Democrazia, bisognerebbe tuttavia pensare a quante conquiste il nostro paese ha fatto proprio grazie ad essa. Eravamo il paese con il più alto tasso di inflazione dell’Europa, i nostri risparmi in banca si svalutavano di anno in anno e in misura consistente, rendendoci sempre più poveri. E ciò avveniva per di più nella completa e inconsapevolezza della maggior parte dei cittadini. Eravamo il paese occidentale con la più invadente forma di statalismo nell’economia, cosa che bloccava la concorrenza e l’iniziativa privata, non esistevano norme a tutela del consumatore, della privacy, del commercio. Non esisteva una regolamentazione dei prodotti alimentari, dei concimi e degli antiparassitari. Il nostro Parlamento non si era mai preoccupato di emanare provvedimenti che tutelassero i risparmiatori nei confronti delle banche. Non avevamo mai avuto accesso ai fondi per la creazione di infrastrutture per l’istruzione, per le scuole, per gli investimenti delle nostre imprese, per lo sviluppo di alcune aree del territorio. Più svantaggio?
Scusate per andare in Francia, in Germania, in Spagna, dovevamo attraversare la frontiera, subire controlli, dovevamo cambiare il denaro e pagare per il cambio. Dovevamo fornire tante spiegazioni, proprio come oggi succede quando andiamo in Cina o negli Stati Uniti.
Invece ora possiamo trasferirci in un’isola greca a goderci il mare senza dover dare giustificazioni a nessuno.
Siamo europei, non solo italiani, abbiamo una doppia identità e due è sempre meglio che uno. Questo non significa che l’Unione europea sia perfetta, ancora molto si può fare e si deve fare nella strada dell’integrazione, peraltro con una migliore ripartizione dei pesi decisionali tra le varie nazioni. Ma ciò che è imperfetto va migliorato, non va demolito.

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