Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione, Di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese.
Commento a cura dell’avvocato Angelo Greco.
Dai tempi della rivoluzione francese, ogni moderna democrazia si basa su due pilastri, possiamo cioè dire di essere in presenza di una vera democrazia solo se vengono affermati questi due principi, la libertà dallo Stato padrone e l’uguaglianza tra i cittadini. la nostra Costituzione non fa che ripetere questi due concetti. Il cittadino deve essere libero dallo Stato, solo la legge può imporgli Limiti e in Ogni caso, solo se c’è un interesse generale. Sarebbe incostituzionale una legge che comprimesse i diritti dei cittadini senza una valida motivazione rivolta a tutelare il bene pubblico. E poi il secondo principio, tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge e quindi davanti ai giudici. Un giudice non può chiedere all’imputato, scusa tu di chi sei figlio, che lavoro fai, quanto sei ricco? Una volta nei piccoli paesi, specie quelli del meridione, le vecchiette che vedevano per la prima volta un’adolescente gli chiedevano. Di che sei figlio tu, che era un modo per inquadrare le persone sulla base del ceto. la nostra Costituzione vieta tutto questo e lo fa in particolar modo con l’articolo tre. L’articolo tre della Costituzione è composto da due parti, con la prima si sancisce il principio di uguaglianza, con la seconda quello di solidarietà. Si tratta dei cardini di ogni Stato democratico, per parafrasare una frase di Totò, si può dire che il diritto è una livella, che ci rende tutti uguali. Proprio per questo la legge deve essere generale e astratta. Generale, perché non può rivolgersi a singoli individui, ma solo a soggetti indeterminati nella loro identità e questo impedisce che vi possano essere privilegi; astratta, perché non può riferirsi a fatti specifici, ma solo a una serie ipotetica di fattispecie. Insomma, la Costituzione vieta al legislatore di rivolgersi, nel bene o nel male, solo ad alcuni cittadini. Non a tutti. Nel nostro ordinamento sono infatti vietate le leggi ad personam, destinate cioè a soggetti specifici OA condizioni talmente definite da potersi applicare solo a isolati e predeterminati casi. La scritta la legge è uguale per tutti, campeggia nei tribunali, per ricordare che non ci possono essere trattamenti differenziati in base a titoli, condizioni sociali o economiche. Insomma, in Italia non sono ammesse preferenze e questo Perché tutti gli uomini nascono uguali. Russell diceva che alla base della democrazia c’è l’invidia, ciò che spinge i cittadini a pretendere l’uguaglianza non è l’altruistica ambizione di un popolo dove tutti siano trattati allo stesso modo, abbiano le medesime possibilità e pari diritti, ma l’egoistica pretesa di avere per sé ciò che gli altri già hanno, non è un, io voto, affinché anche tu abbia ciò che ho io, ma un pretendo di avere ciò che hai tu. È un continuo richiedere allo Stato, se lo A lui lo voglio anche io, io voglio, io voglio, io voglio, tutti vogliamo avere, nessuno si alza dalla sedia e dice, Io voglio dare. Diciamoci la verità, siamo molto più egoisti di quanto non vogliamo confessare a noi stessi e il nostro egoismo lo chiamiamo rispetto dell’uguaglianza, l’invidia diventa così la principale forza motrice della giustizia tra classi diverse, nazioni e Stati differenti, ma è anche vero, continuava Russell che la giustizia risultante dall’invidia. Ha molte probabilità di essere la peggiore. Una giustizia, cioè, che consiste nel diminuire i privilegi del fortunato piuttosto che nell’accrescere quelli dello sfortunato. Dobbiamo allora combattere affinché la nostra sete di uguaglianza non sia rivolta ad ottenere ciò che hanno gli altri, ma a garantire agli altri ciò che abbiamo noi. Spesso il principio di uguaglianza viene richiamato a sproposito, si pretende di ottenere ciò che gli altri hanno, anche quando le condizioni che giustificano un determinato trattamento sono differenti. Attenzione a non cadere in facili equivoci. Il principio di uguaglianza non richiede che tutti i cittadini siano trattati allo stesso modo, ma che tutti coloro che si trovano nella medesima condizione siano trattati allo stesso modo. A situazioni uguali corrisponde uguali trattamenti. Ma a situazioni differenti deve corrispondere invece un trattamento diverso. Il ricco non può pretendere gli stessi benefici riconosciuti al povero, il sano non può parcheggiare negli stalli adibiti ai disabili. Chi ha già una casa non può esigere anche l’alloggio popolare. La prescrizione dei diritti economici del lavoratore dipendente non inizia a decorrere, come per chiunque altro, da quando tale diritto sorge, ma dà la cessazione del rapporto di lavoro in considerazione dello Stato di soggezione nel quale, Spesso versa, finché è alle dipendenze del proprio capo. Insomma, non si può pretendere una parità assoluta, ma solo una parità relativa, cioè tra categorie omogenee dei cittadini. Se così non fosse, in nome di un’uguaglianza assoluta e generica si realizzerebbe un’enorme ingiustizia, la negazione delle diversità naturali finirebbe per confliggere con il principio di uguaglianza. È sbagliato dire la stessa cosa a tutti, è corretto invece affermare la stessa cosa agli stessi. C’è dunque un lato dell’articolo tre che vieta le disparità di trattamento, e un lato che Impone Il punto, è che spesso non ha tutte le disuguaglianze, viene dato lo stesso peso e così il legislatore si trova a penalizzare determinate condizioni per agevolarne altre, in un’ottica a volte clientelare. Ad esempio ci sono leggi che garantiscono ai disabili il diritto all’assunzione, ma la stessa cosa non è prevista per i poveri o per le donne single con figli da mantenere. Bene. Ed è proprio questo che fa sì che l’articolo tre della Costituzione sia il più inflazionato nei ricorsi alla Corte costituzionale. Questa la maggiore difficoltà dell’applicazione dell’articolo. Tre. Gli esseri umani nascono naturalmente disuguali tra loro, è come se ciò non bastasse, la vita stessa li porta ad essere diversi, come diceva Pirandello:”prima di giudicare la mia vita o il mio carattere, Mettiti le mie scarpe, percorri il cammino che ho percosso io, vivi il mio dolore, i miei dubbi, le mie risate, vivi gli anni che ho vissuto io, e cadi là dove sono caduto io, e rialzati come ho fatto io”.
Ognuno di noi ha una sua storia alle spalle che lo porta ad essere diverso. Come può allora la legge valutare tutte queste diversità? Si finirebbe per scrivere una legge per ogni cittadino, questo è chiaramente impossibile, ragion per cui anche il principio di uguaglianza non può essere applicato alla lettera. L’articolo tre afferma subito che tutti i cittadini sono uguali dinanzi alla legge. La norma poteva interrompersi qui, essendo sufficientemente chiara nel dire che non si possono fare discriminazioni di sorta. Eppure prosegue specificando che sono vietate le differenziazioni in base al sesso, alla razza, alla lingua, alla religione, alle opinioni politiche, alle condizioni personali e sociali. Vengono così elencati sei specifici parametri. Perché proprio questi sei? Ci avete pensato perché? Si tratta di situazioni. Che non indicano solo una diversità ma anche una condizione di debolezza che in passato ha determinato forme di violenza, prevaricazione ed emarginazione. Chi incarna uno di questi parametri è normalmente più deboli rispetto agli altri, ecco perché non si parla anche dell’altezza delle persone, della corporatura, del colore, dei capelli. Per quanto anche queste discriminazioni sarebbero illegittime. La donna è naturalmente più fragile dell’uomo e lo è anche chi appartiene a una minoranza linguistica, chi è povero, chi è straniero, chi pratica una religione diversa da quella generale. Che dire degli omosessuali, oggetto tutt’oggi di profonde discriminazioni. Pensate che solo nel 1973 l’omosessualità è stata cancellata dalla classifica dei disturbi psichici e trasferita dall’ambito delle patologie all’area delle caratteristiche della personalità. Oggi la situazione dell’omosessualità è tutelata solo genericamente dal principio di non discriminazione, ma non è mai stata approvata una legge specifica, salvo quella che riconosce il legame alle unioni civili. In ogni caso, per fortuna, l’elenco dei parametri riportato nell’articolo tre, cioè sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche e condizioni personali e sociali, è così ampio da ricomprendere qualsiasi forma di diversità, anche quelle non espressamente indicate. Ad esempio, è stata ritenuta illegittima la norma che nei concorsi pubblici pone un requisito minimo di età, per quanto le condizioni anagrafiche non siano contemplate nell’articolo tre. Lo stesso vale per l’altezza. Secondo la giurisprudenza, è discriminatorio prevedere un’altezza minima per accedere al posto di capotreno, trattandosi di un requisito non pertinente alle mansioni svolte. La Costituzione vieta, tra le altre cose, le discriminazioni in base alle condizioni sociali. Quanti di voi sanno che prima del 1970, esisteva una norma nel codice penale che prevedeva il carcere per chi non aveva i soldi per pagare una pena pecuniaria, in pratica si stabiliva un giorno di reclusione o di arresto per ogni 25.000 lire di multa o ammenda non pagate, circa 13 euro di oggi. Immaginatevi se dovessimo mandare in galera tutti quelli che non pagano una cartella esattoriale di 100 euro, dovrebbero restare al fresco per almeno una settimana. Per fortuna è intervenuta la Corte costituzionale ad eliminare questa previsione perché contraria all’articolo tre della Costituzione, perché operava una discriminazione tra ricchi e poveri, Qualcuno si sarà infine chiesto perché l’articolo tre parla di razze, laddove si dice è vietata qualsiasi discriminazione in base alla razza, la scienza infatti, ha dimostrato che tra gli uomini esistono diversità nella fisionomia, nel colore della pelle, nella forma degli occhi, nell’altezza o nella corporatura, ma non razze che caratterizzano il DNA. Si può parlare solo di diverse etnie, Però di un’unica razza, quella umana. La ragione dell’uso di questo termine va allora cercata proprio nella volontà di contrastare le tragiche teorizzazioni sulle razze inferiori, che furono alla base del nazismo prima, e del fascismo poi. La Costituzione non afferma l’esistenza delle razze, ma l’esatto contrario, ossia che non si possono operare differenze di trattamento fondate sulla presunta esistenza di razze. I padri costituenti si accorsero che non bastava sancire l’uguaglianza tra i cittadini, se poi lo Stato non si attiva per eliminare gli ostacoli che impediscono l’applicazione concreta ed effettiva di tale principio. L’esperienza insegna che le dinamiche sociali, ove abbandonate a se stesse, conducono i ricchi ad essere sempre più ricchi e i poveri, ad essere sempre più poveri.
Pertanto, lo Stato deve intervenire per correggere queste dinamiche. Il Presidente americano Johnson, in un famoso discorso del 1965, disse:”Supponiamo che un uomo abbia trascorso molti anni in catene, viene liberato e condotto ai nastri di partenza ad una corsa. Gli si dice ora sei libero di partecipare insieme agli altri. Sarebbe forse questo un trattamento equo?”. Ecco perché l’altro caposaldo dell’articolo tre, il principio di solidarietà, stabilisce, che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini. I costituenti potevano limitarsi a scrivere che la Repubblica rimuove gli ostacoli, o si adopera per rimuoverli, e magari altre formule del genere, spesso usate dalle leggi quando si teme di imporre i compiti impossibili per lo Stato e perciò ci si lascia la porta aperta per defilarsi. Potevano cioè scrivere che la Repubblica rimuove le disuguaglianze, se ci riesce, se ci sono risorse a sufficienza, ben sapendo che le risorse sono sempre insufficienti quando le si destina ad altro e invece si è preferito affermare che è compito della Repubblica, ossia è un dovere, un imperativo a cui nessuno di noi si può sottrarre. Siamo chiamati in causa tutti quanti ad adoperarci affinché non ci siano discriminazioni. L’articolo tre non dice infatti che compito dello Stato, ma della Repubblica, ossia. Di tutto il Popolo, questo non significa che tutti potranno diventare medici, avvocati, imprenditori, Presidenti della Repubblica, atleti, attori, ma a tutti vanno offerte le possibilità ai mezzi per diventarlo. Il principio di uguaglianza non deve essere confuso con l’assistenzialismo puro, la Repubblica si impegna solo a mettere a disposizione i mezzi per potersi misurare in condizioni di parità sostanziale, non solo formale, con gli altri cittadini, rimuovendo le difficoltà che alcuni di questi cittadini. Hanno per colpe non proprie. Che il risultato finale dipenderà pur sempre dalle capacità e dall’impegno che ciascuno potrà o vorrà profondere nella propria attività, ai meno abbienti si può riconoscere una borsa di studio per sostenere le spese connesse agli studi, ma non già una laurea o un lavoro. Insomma, l’uguaglianza riguarda i mezzi e non il risultato. Tutti sanno che quanto ho appena detto non rispecchia sempre la realtà. Ci sono molte disparità nel nostro Stato, discriminazioni, situazioni di disagio economico non eliminate, difficoltà nell’accesso, all’istruzione, alla giustizia, alle prestazioni socio assistenziali, all’assistenza sanitaria, c’è diversità di trattamento tra uomini e donne, ricchi e poveri, gay ed etero, sud e nord. Nel leggere l’articolo tre si può cadere nella tentazione di ritenere dovuto tutto e subito, invece così non è, perché lo Stato non è onnipotente, la Repubblica si impegna a rimuovere gli ostacoli, ma non è detto che possa o sappia farlo. Si tratta quindi di una norma programmatica che detta cioè solo un programma, un obiettivo per lo Stato da promuovere in futuro con i mezzi di volta in volta disponibili. Insomma, c’è lo sforzo a risolvere i problemi, ma non la bacchetta magica. Proprio come il diritto al lavoro proclamato sulla carta, ma inesistente nei fatti. Basti pensare che il codice delle pari opportunità sul riconoscimento alle donne degli stessi diritti degli uomini è stato partorito solo nel 2017. A distanza di quasi sessant’anni dalla Costituzione. Eppure il sesso è proprio il primo degli aspetti che l’articolo tre richiama l’incorreggibile ritardo dello Stato italiano, se vogliamo trovare un’imprecisione nell’articolo tre, questa è nell’ottimistico uso del verbo nel modo indicativo tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge, Cioè più realistico. Sarebbe stato un condizionale. Tutti i cittadini dovrebbero essere uguali, ma i nostri padri costituenti, che ricostruivano dopo le macerie della guerra, erano comprensibilmente ottimisti e sognavano un mondo migliore per loro e soprattutto per noi. È come se, fidandosi delle future generazioni, ci avessero detto, noi lo mettiamo per iscritto, spetta a voi poi attuarlo. Ma fatelo presto perché è da ciò che dipende la vostra stessa sopravvivenza. È il destino dell’Italia.