La Repubblica, una è indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali, attua dei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo, adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.
Commento a cura dell’avvocato Angelo Greco.
Lo Stato italiano è un po come il Dio cattolico uno e trino è unitario, ma si compone di tre diversi apparati, lo Stato, le regioni e i comuni, le province vanno e vengono. Si è trattato di una scelta di grande coraggio. Di solito chi ha il potere se lo tiene per sé, non lo cede agli altri. Invece, il padri costituenti hanno ritenuto che i cittadini italiani fossero già maturi per amministrare il potere a livello territoriale. L’articolo 5 della Costituzione sancisce così una sorta di compromesso tra i sostenitori di uno Stato unico e indivisibile e i paladini del regionalismo, Luigi Einaudi, che si schierava nelle file di questi. ultimi sosteneva che le autonomie locali potevano essere l’antidoto al ritorno di forme dittatoriali. Se spezziamo il potere in tante parti sarà più difficile che qualcuno se ne appropri, diceva. Dall’altro lato però, non si voleva che un eccessivo regionalismo potesse portare a nuovi processi di scissione dopo tanto sangue versato per la conquista. Dell’unità e così l’articolo 5 cerca di tirare un colpo al cerchio e uno alla botte, da un lato ammonisce chiaramente che l’uomo non separi ciò che il Risorgimento ha unito e dall’altro riconosce le autonomie locali allo scopo di raggiungere il più ampio decentramento amministrativo. Una concessione, però, che proviene dallo Stato. Come dire a scanso di eventuali tentazioni secessioniste, non siamo davanti all’ammissione di un diritto naturale in capo ai vari territori. Che non. Confonda, come già hanno fatto diversi politici, l’autonomia con l’indipendenza. Vi potrete chiedere perché prendere tante decisioni per quante sono le regioni, le province e i comuni italiani, rendendo così ancora più incomprensibile la già articolata legge? Chi meglio del padrone di casa può stabilire dove collocare i quadri e chi più del condominio può decidere il colore delle tende da sole, da installare sui balconi, chi più del comune è capace di determinare quale debba essere il senso di circolazione in una strada? Ed ancora, chi meglio della regione può individuare le migliori regole sullo sviluppo del territorio locale? Ogni decisione, per quanto possibile, deve essere fatta dall’ente più vicino al cittadino.
Perché nelle esigenze, le caratteristiche, i pregi e i difetti e ciò che si chiama principio di sussidiarietà. Se un ente inferiore è capace di svolgere bene un compito, l’ente superiore non deve intromettersi, così come una graziosa concessione, lo Stato italiano, anche qui con lustri di ritardo, ha attuato le autonomie locali, concedendo alle regioni, alle province e ai comuni una serie di poteri nelle materie elencate agli articoli 117 e 118 della stessa Costituzione. Un riconoscimento sudato visto che nel nostro paese. La rinuncia al potere richiede lunghe gestazioni e periodi di transizione, pensate che per ottenere le prime elezioni dei consigli? Regionali si è dovuto attendere il 1970 per la prima legge sui Comuni e Province, il 1990 e per il testo unico sull’ordinamento degli enti locali, il 2000. Nel 2001 è stata riconosciuta alle regioni, Province e Comuni l’autonomia finanziaria di entrata e di spesa. In questo modo possono imporre i tributi, pur nell’ambito della cornice della legge italiana e magari approvare i loro bilanci, ad esempio su autorizzazione dello Stato, le regioni possono riscuotere il bollo auto e le addizionali Irpef. I comuni hanno il potere in positivo in materia di immobili con l’Imu e la Tari. E così? Sia in questo modo gli enti locali possono autogestire le proprie finanze, possono ad esempio, scegliere se destinare i soldi dei contribuenti ai viaggi degli amministratori e alle consulenze degli amici o degli amici, degli amici, degli amministratori, oppure agli ospedali e alla sanità, con tutti i vantaggi e gli svantaggi che ne derivano. Perché è indubbio che a dispetto dell’unità d’Italia, si creano come se già non bastassero le regioni Storiche, economie di serie A, quelle delle regioni più efficienti e industrializzate ed economie di serie B, quelle delle regioni con minori risorse, in barba al principio di uguaglianza in forza del quale tutti i cittadini sono uguali. Chi vuole le prove di ciò entri in un ospedale del Sud e lo confronti con uno di quelli del Nord. Il decentramento quindi, da un lato opera una forma di democratizzazione delle decisioni, rendendo più vicino il potere alla sua base, ma dall’altro lato apre la strada a possibili discriminazioni tra cittadini dello stesso paese, di ciò chiaramente, come sempre succede, non si accorge il ricco, ma solo il povero. È vero, le autonomie locali hanno potenziato lo sviluppo in molte regioni del paese, ma la frammentazione dei poteri rischia di trasformare la Conferenza Stato-Regioni in un’assemblea di condominio. Fatta l’Italia bisogna fare gli italiani l’auspicio di massimo D’Azeglio è rimasto lettera morta dal 1861, che senso ha dire che l’Italia è una indivisibile se il popolo resta in eterno conflitto? Prima era la guerra tra repubblicani e monarchici, poi tra fascisti e comunisti, tra settentrionali e meridionali, tra laici e cattolici, industriali e proletari. Europeisti e sovranisti, favorevoli e contrari all’immigrazione No Tav e si Tav, no vax e SI Vax. e perché no? Juventini e milanisti, in Italia c’è sempre un motivo per litigare, per dividersi in due schiere, come se fosse possibile giudicare una persona nelle sue infinite sfaccettature in base a un solo lato del suo pensiero, siamo un popolo unito con il mastice cucito a lamempeggio, come il costume di Arlecchino. Ed è inutile dire che sull’unità degli italiani pesano fratture storiche, mai ricucite. La verità è che non abbiamo rispetto per l’altrui pensiero. Problema, questo, di carattere culturale prima ancora che. Storico, disapprovo ciò che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo, scrisse L’autrice inglese Evelyn Beatrice frase erroneamente attribuita a Voltaire, Un insegnamento che gli italiani non hanno mai dimostrato di condividere. Da noi il diritto di espressione è unilaterale. Io posso parlare, ma se tu la pensi diversamente non puoi fare altrettanto. Approfondiremo questo discorso quando parleremo dell’articolo 21 della Costituzione. Una cosa però è certa. Essere Uniti non vuol dire necessariamente essere identici. Tuttavia non saremo mai liberi, uguali e Uniti se prima non impareremo a rispettarci l’un l’altro.